Dati consistenti e sempre più numerosi indicano come gli stili di vita poco salutari, tra i quali i principali sono fumo, sedentarietà, alimentazione scorretta e alcool, siano la principale causa di morbilità e mortalità prematura nei paesi in via di sviluppo. Nel contesto di questi comportamenti, la semplice abitudine al cammino assume una importanza fondamentale, considerato che camminare è, nelle sue varie modalità, la forma di attività fisica più comune.

Il cammino eseguito ad intensità moderata ha iniziato ad essere considerato una forma 'salutare' di attività fisica nei primi anni 90; precedentemente le raccomandazioni per la salute pubblica enfatizzavano attività più vigorose come la corsa, essendo il focus di queste ultime il miglioramento di alcuni parametri della forma fisica quali il consumo di ossigeno o la forza muscolare, considerati in maniera separata dallo stato di salute generale. Nel 1995 due importanti istituzioni degli Stati Uniti, il Center for Disease Control (CDC) e l'American College of Sports Medicine (ACSM) pubblicano congiuntamente delle linee guida fondate sul consensus scientifico che si possano ottenere vantaggi sostanziali sullo stato di salute praticando attività fisica di intensità moderata per almeno 150 minuti a settimana.

Tali 'raccomandazioni', sono sostanzialmente rimaste invariate nell'ultimo decennio e anche il recente documento, pubblicato dall'U.S. Department for Human Services ribadisce come questa sia la 'soglia minima' di attività.


Le evidenze dei benefici derivanti dal cammino eseguito a media intensità derivano in larga misura da studi epidemiologici.

Questi studi sono stati essenzialmente di natura osservazionale, sia di tipo caso-controllo che di coorte (prospettici o retrospettivi). Uno dei primi studi eseguiti per valutare gli effetti del cammino sulla prevenzione dei problemi cardiovascolari è stato pubblicato dagli investigatori dell'Harvard Alumni Health Study (Paffenbarger et.al., 1978). In questo studio è stata valutata l'abitudine al cammino di 16.936 studenti di Harvard, di età compresa tra i 35 e i 74 anni in relazione al rischio di infarto. Si è evidenziato come coloro che camminavano per più di 4,8 Km al giorno avevano un rischio del 26% inferiore (P = 0.016) rispetto a coloro che erano al di sotto di questa soglia. Questo primo studio presentava comunque delle limitazioni dovute alla mancanza di aggiustamento per alcuni potenziali fattori confondenti quali la partecipazione ad altre attività fisiche o l'analisi di altre abitudini di vita. Inoltre sono stati analizzati solo due 'volumi' di attività fisica, rendendo impossibile la valutazione dell'effetto dose-risposta. Successivamente tali dati sono stati analizzati utilizzando dei software di analisi statistica più evoluti (Sesso et al., 2000); i partecipanti sono stati suddivisi in più categorie di volume  di cammino e i dati 'aggiustati' per differenze in: fumo, consumo di alcool, peso corporeo, storia medica personale e familiare, partecipazione ad altre attività fisiche.

Si è evidenziata una riduzione significativa (-13%) del rischio di sviluppare problemi coronarici per i soggetti che camminavano dai 5 ai 10 Km la settimana.

Ulteriori aumenti di volume (da 10 a 20 Km e >20 Km a settimana)  determinavano una ulteriore diminuzione del rischio, ma che non raggiungeva la significatività statistica (P for trend = 0.08).

Anche alcuni importanti studi eseguiti sulle donne hanno evidenziato come il cammino sia correlato al rischio di sviluppare problemi coronarici. Il Women's Health Study (Lee et al., 2001)  ha previsto l'analisi di 39.876 donne di età superiore ai 45 anni.

In questo studio, che ha valutato principalmente tutta l'attività eseguita nel tempo libero, per valutare in maniera isolata gli effetti del cammino, è stata eseguita una analisi indipendente delle sole donne che camminavano e che non eseguivano nessun altro tipo di attività. Il gruppo è stato diviso per volumi di cammino (<1, 1-1.5, e >2 ore a settimana) e aggiustato per fumo, consumo di alcol, dieta, utilizzo di ormoni e storia familiare.

È stato evidenziato un effetto dose risposta significativo (P for trend <0.001) e, cosa più interessante, anche come volumi molto modesti di cammino (un'ora a settimana), fossero correlati con la diminuzione del rischio cardiovascolare. Gli studi sopracitati, sebbene trai i più importanti, sono solo due tra i numerosi lavori pubblicati in letteratura e ad oggi si può con certezza affermare che i benefici del cammino nella prevenzione di gran parte delle patologie croniche in generale, e del diabete in particolare sono supportati da evidenze scientifiche solide.

È importante sottolineare come riportato da I-Ming Lee et al. (2008) in una recente consensus conference su cammino e salute pubblica, che i benefici derivanti dal cammino trascendono i soli effetti fisiologici. Promuovere il cammino come 'mezzo di trasporto attivo ad esempio, riduce l'utilizzo dell'automobile, di conseguenza la congestione delle strade e l'inquinamento dell'aria e infine, l'incidenza delle malattie dell'apparato respiratorio dovute all'inquinamento.

Ci sono inoltre evidenze che il cammino, specie se svolto in ambiente naturale contribuisca al benessere psicologico, così come sono dimostrati i benefici psicologici derivanti dall'interazione sociale qualora il cammino sia eseguito in gruppo.









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